Quali sono i bisogni dei miei utenti? E del business del cliente? E dei team? Dov’è il valore? Mi pongo molte domande: sono una User Experience Designer.

Ascoltando e osservando gli utenti carpisco i loro bisogni e frustrazioni, immagino come migliorare le loro esperienze e tramite mille sketch, flussi, prototipi e fogli di calcolo propongo una soluzione appositamente per loro. Ma non solo per loro!

In un progetto tutti hanno problemi e speranze, e la soluzione giusta è quella che armoniosamente (e con grande diplomazia) incontri gli obiettivi di tutti: degli utenti, del business, dei team di progettazione, nel rispetto dell’ambiente e degli esseri umani.

Insomma, noi designer abbiamo sempre più bisogno di conoscenze trasversali a tutti gli ambiti sui quali interveniamo con le nostre domande e matite, armati di compassione e diplomazia. Questo è ciò che amo del mio ruolo: trovare la soluzione migliore, per tutti, non smettendo mai di apprendere e di mettere in discussione le proprie scelte per migliorare ancora.

Inizia tutto con i videogiochi e le letture fantasy: “Mi disegni la firma per il forum?”, “Mi disegni la copertina del libro?”.

Mi sono resa conto di avere una grande passione per la grafica digitale quando, con i trentasette gradi delle notti siciliane e un computer fisso — ormai ridotto a una stufa — io ero lì, alle tre di notte, a creare grafiche e guardare tutorial su YouTube.

Il corso di Design della Comunicazione del Politecnico di Milano è stata una scelta facile, per me. Con i miei sogni di grafica ho abbandonato la Sicilia per diventare una professionista — magari nell’ambito dell’advertising?

Quattro anni dopo, stagista laureanda in uno studio di interior e product design di Milano, mi domandavo se mollare tutto. Non ero soddisfatta: la grafica editoriale e il branding non mi davano particolari gioie. “Ti fai troppi problemi”, mi dicevano i miei colleghi di corso mentre progettavano la quarta di copertina del loro progetto e io mi interrogavo ancora su chi fosse il mio target e se la modalità di rappresentazione fosse adeguata per loro — e poi a che doveva servire il mio libro visivo? ma sarà commerciabile?

Poi è arrivato il corso di Interaction Design, abbiamo progettato una sorta di Tinder misto a TheFork, e uno dei ricordi più belli che ho è la creazione degli scenari, del prototipo… ero letteralmente travolta dall’entusiasmo.

A quel punto ho trovato la mia strada: nel 2016 ho iniziato a progettare esperienze digitali e fisiche con tecnologie innovative in un incubatore di startup milanese, lavorando per Ducati e OCTO Telematics, e nel 2018 entro in Ogilvy per progettare brand experience per Barilla, Campari Group, Nestlé, Unilever, Carrefour, Gruppo Ferrero

E Tangible? Come nel 2015, nel 2021 gli interrogativi sulle mie scelte sono tornati, e anche i desideri di una progettazione con profonde radici nella ricerca e profondamente collaborativa. E magari anche da remoto, per destinare più tempo a famiglia e hobby vari. Impossibile? No, c’è Tangible! che incredibilmente rispondeva a tutte le mie aspettative di carriera.

Ho imparato che, qualsiasi sia la strada che si sceglie di percorrere, i dubbi sono sempre dietro l’angolo. Piuttosto che andare avanti e ignorarli, forse è giunto il momento di ricalcolare il percorso.

Ho molti interessi che coltivo con un approccio “stagionale”.

Disegno, canto, leggo manga, guardo anime, gioco a vari videogiochi, invaso piante grasse, fotografo... Sono invece una gattara a tempo pieno. Nel prossimo futuro vorrei tornare a viaggiare e, perché no, magari un corso di giapponese. Sullo sport ci stiamo lavorando.



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